Fin dall’inizio dell’insediamento sull’Isola, non prendeva mai alcuna decisione senza aver consultato la Comunità che allora era davvero minuscola, ma che sentiva parte imprescindibile del suo stesso essere. Anche a tavola, in tempi iniziali di grandi stenti, ogni piccolo dono era condiviso e nessuno poteva rifiutare anche solo un assaggio di quanto era destinato a tutte.
Certamente si documentava sui testi – e a questo era stata esigente scuola la revisione letteraria e liturgica della Bibbia richiestale dalla CEI – ma poi, quello che nasceva era davvero frutto di preghiera e di ispirazione. Lei stessa diceva di «ascoltare» quanto le sgorgava dentro. Nonostante i lunghi anni in cui ha svolto questo servizio alla Parola, possiamo testimoniare che non era mai ripetitiva. Ogni ascoltatore attento sentiva quanto diceva con un accento che lo interpellava in prima persona e spesso lo muoveva ad una profonda conversione.
Anche il testo Mansuetudine, volto del monaco non è nato da un progetto editoriale. Ci domandavamo insieme con la Madre – erano gli anni di piombo in cui imperversava una violenza omicida – come onorare il centenario della nascita di san Benedetto (480-1980). Nacque allora la proposta di rileggere la Regola in chiave di non-violenza, di mansuetudine, secondo l’invito di Gesù:
«Imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11, 28-29).
Con la tenacia che le era abituale, la Madre commentò la Regola capitolo per capitolo ogni settimana. Fu solo casualmente che un monaco benedettino, avendo avuto fra le mani alcune di quelle pagine trascritte, ne caldeggiò la raccolta e la pubblicazione presso l’Abbazia di Noci. Fu un vero successo: oggi ha raggiunto la V edizione con traduzione in diverse lingue. La prima a stupirsene fu la Madre stessa.
Anche se la sua bibliografia raggiunge un centinaio di titoli, non si considerò mai un “personaggio”. Mantenne sempre la sua semplicità e quella freschezza che – nei grandi santi – fa scorgere, sotto i lineamenti scavati dal tempo, la ridente trasparenza dell’infanzia.
Era fondamentalmente libera da se stessa e pronta a mettere il suo talento, la sua capacità espressiva, a disposizione di chiunque le chiedesse uno scritto o un incontro. Cercava di accontentare tutti: dall’oratorio parrocchiale alla rivista di filosofia. Aveva inoltre il dono di semplificare i problemi più intricati individuando una soluzione non semplicistica, ma davvero semplice, frutto di un innato buon senso che detestava ogni complicazione.
Fra i tratti più belli della sua personalità vi è stato un profondissimo amore alla vita. Scherzavamo con lei perché era diventata famosa – mediante un passaparola delle coppie che non riuscivano ad avere figli – per la potenza della sua benedizione. Anche tanti nostri parenti e amici ne hanno beneficato, e poi tornavano al Monastero a mostrare con gioia… i frutti delle sue preghiere.
Uno speciale rapporto si è sempre stabilito tra la Madre e i bambini. I pochi isolani e i loro amichetti d’estate venivano a Compieta e, al momento della benedizione conclusiva, quando la Madre si avvicinava alla parte degli ospiti, correvano vicino alla grata e spesso le passavano dei disegni appositamente preparati per lei durante il giorno.
Guardava con simpatia anche gli animali e non mancavamo mai di portarle a vedere qualche uccellino implume o qualche bestiola.
Chiunque bussava alla nostra porta trovava sempre un’accoglienza inaspettata. Secondo lo stile di san Benedetto, ogni ospite era accolto «come Cristo in persona» e molti si stupivano di poter deporre le loro pene o la loro ricerca interiore nel cuore di una donna così attenta e premurosa, i cui occhi rimanevano per sempre compagni nel viaggio della vita, dando la certezza di non essere più soli. Perché tale accoglienza fosse vera, anche da parte della comunità, soprattutto nella preghiera, la Madre fece mutare la formula finale dell’Ufficio. L’aiuto del Signore invocato non doveva riferirsi solo agli eventuali membri della Comunità assenti, ma a “tutti i nostri fratelli”.
La Madre aveva una parola adatta ad ogni persona che incontrava. Lei, normalmente così riservata, quasi timida, non si sottraeva al contatto di quanti, per suo tramite, sapevano di incontrare il Signore. Dopo un momento di silenzio, la Madre lasciava che dal suo cuore sgorgasse la parola giusta. Spesso, la sera, al momento dell’incontro fraterno, le domandavamo incuriosite: «Madre, ma che cosa ha detto a…?». Si trattava delle categorie più disparate: dai sindaci della Riviera che, puntualmente, volevano incontrarla durante la Festa di san Giulio, alle aspiranti Miss Italia, dai sacerdoti ai gruppi in pellegrinaggio, dalle religiose ai fidanzati. Quale fu, ad esempio, la nostra sorpresa nel sentire che ai carcerati, venuti all’Isola con uno specialissimo permesso, aveva detto: «Vi aspettavo! Finalmente siete venuti a ricambiarmi la visita. Io ogni giorno vengo a trovarvi con la preghiera».
Sono davvero migliaia le persone che, nel corso del tempo, ha incontrato o raggiunto con uno scritto. Fino all’ultimo non lasciò mai nessuna lettera senza risposta. Era impressionante constatare con quale indomita volontà chiedesse a se stessa ogni fatica pur di non trascurare un «grazie» o un augurio a benefattori, oblati, amici del Monastero. Per i sacerdoti, soprattutto, ha sempre avuto una grandissima attenzione. Voleva che si sentissero amati con predilezione, sostenuti nelle loro difficoltà. Ha tenuto ritiri per centinaia di loro che venivano anche da lontano per godere del suo sostegno spirituale che proseguiva anche per via epistolare.
Mostrava tenacia e perseveranza nella partecipazione alla preghiera liturgica, alla quale non mancava mai – anche negli anni di minor salute – e dalla quale traeva veramente una forza rigeneratrice nei momenti di maggiore stanchezza, come più volte sperimentammo.
La Madre fu anche donna di notevole levatura intellettuale e culturale. Proprio in questi giorni, riordinando i libri a lei più cari, abbiamo ritrovato il testo di un personaggio d’eccezione che, evidentemente, le fu maestro. Si tratta di Dag Hammarskjöld, già Segretario Generale dell’Onu e premio Nobel per la Pace, come lei «uomo di grande solitudine ma capace d’intensa comunione».
I brani di Tracce di cammino, suo diario spirituale (ed. Qiqajon, 1992) sono spesso segnati – delicatamente – a fianco, e all’interno del libro molti foglietti facevano da segno. Ne scegliamo uno fra i tanti. Leggendolo, si capisce come la Madre abbia potuto sentirlo suo:
«Essere nulla in umile autoannientamento e nondimeno incarnare tutto il peso e l’autorità del proprio compito, grazie ad esso: ecco l’atteggiamento di chi è stato chiamato (cfr. Lc 17,20-21). Dinnanzi a ogni uomo, opera, poesia o arte, dare quanto l’io può immettervi, e ricevere, libero e semplice, quanto spetta all’io in virtù della sua identità. Lodi e biasimi, venti di successo e di insuccesso soffiano su questa vita senza lasciarvi traccia né alterarne l’equilibrio. In questo il Signore mi aiuti…».
Sì, la Madre era libera dalla valutazione umana. Cercava – da vera monaca – soltanto Dio. Con grande ardore e generosità ha compiuto tutto il suo servizio abbaziale, obbedendo a quanto la vita le presentava momento per momento, con un «Eccomi» sempre rinnovato e mai subìto, in uno slancio d’amore inesausto.
A noi è sempre sembrata una persona santa, eccezionalmente coerente, fin dai primi anni in cui l’abbiamo conosciuta. Ci ha inoltre insegnato che non c’è una santità a buon mercato. Essa culmina nella kénosi di Gesù che muore abbandonato sulla Croce.
Anche lei si è lasciata a poco a poco spogliare, dolcemente: «Bisogna che Egli cresca e io diminuisca» (Gv 3,30). Questo si è fatto oltremodo evidente nei suoi ultimi giorni, nei quali era diventata incessante preghiera, non solo e non tanto a parole, ma con tutto il suo essere. I suoi occhi infondevano una struggente pace e non si poteva guardarla senza che una profonda commozione facesse salire un nodo alla gola. Aveva sempre la Corona del Rosario tra le mani e ogni suo dire era come se venisse da lontano e fosse intriso di silenzio. Le erano rimasti solo dei versi poetici che riceveva quasi come dono furtivo dall’Alto, spesso la notte, parole che, come piccole onde, l’hanno sospinta a lasciarsi sommergere dal silenzio dell’Amore. L’ultima fu: