Vi fu un uomo
di nome Benedetto,
Benedetto di nome e di fatto.
Ancora fanciullo
maturo nella mente e nel cuore,
Dio lo ricolmò di benedizioni
e lo chiamò
come Abramo
per dargli una discendenza
numerosa come le stelle del cielo
e come la sabbia che è sul lido del mare.
Figli e figlie
seguendo la sua Regola
portarono ovunque
la civiltà del Vangelo
perché in tutti e in tutto
sia glorificato Dio.
Dalla stirpe
di quell’uomo
di nome Benedetto
sono nata anch’io.
«Vi fu un uomo di vita santa,
Benedetto di nome e per grazia»
SAN GREGORIO MAGNO, I Dialoghi, Prologo
Queste poche righe, con le quali san Gregorio Magno apre il Libro dei Dialoghi, che contiene la biografia del Santo Abate, ne delineano già chiaramente gli aspetti più rilevanti: un uomo che visse ciò che il suo nome esprimeva, che fin dalla giovinezza possedeva un cuore maturo, pronto a rispondere con dedizione a quel disegno che Dio aveva su di lui già dal grembo materno.
Questa maturità, la capacità di discernere il bene dal male si concretizzò nella vita di san Benedetto con un netto e deciso rifiuto delle cose provvisorie e caduche: «mai si diede alle gioie che passano» dice san Gregorio, dirigendo invece tutta la sua vita decisamente e risolutamente, verso il mondo che non passa, verso le realtà che rimangono, che sono eterne, verso Cristo stesso.
Con san Benedetto – uomo di Dio dal volto sereno, di vita venerabile, dai costumi angelici -ci troviamo davanti a una figura insieme forte e mite, austera e amabile che irradia attorno a sé luce e calore.
È l’uomo della verità e dell’ordine, della coerenza e della radicalità nell’impegno; soprattutto è l’uomo che dà alla sua vita un unico orientamento, un unico scopo: la ricerca di Dio, del suo Regno, della sua gloria.
La Regola di San Benedetto
… Chiunque tu sia che ti affretti verso la patria celeste,
metti in pratica, con l’aiuto del Signore Gesù Cristo,
questa piccola Regola per principianti
e così – sotto la protezione di Dio –
giungerai sicuramente a quelle sublimi altezze
di sapienza e di virtù.
(RB, 73)
La Regola benedettina: proposta per un cammino di pace
La Regola è composta da 73 capitoli, preceduti da un Prologo che, oltre ad introdurla, contiene già molti degli elementi più pregnanti, quelli che san Benedetto ha voluto mettere in maggior rilievo.
Lo stile è pacato, come in un discorso familiare: scopo di san Benedetto, infatti, non è solo istruire i monaci, ma, soprattutto farli sentire amati, figli di un «padre buono» che vuole aiutarli a «tornare a Colui dal quale si erano allontanati cedendo alla pigrizia della disobbedienza».
Fin dalle prime righe risulta tuttavia evidente come questo ritorno comporti una lotta, assumendo le «fortissime e gloriose armi dell’obbedienza» e sia un cammino, che si compie «sotto la guida del Vangelo», «munìti, dunque, di una fede robusta e comprovata dal compimento delle buone opere», rinunciando alla propria volontà, per mettersi al servizio del Signore, preoccupati di «operare all’istante tutto ciò che può giovare per sempre».
Per questo, san Benedetto invita il monaco ad affidarsi completamente al Signore «con ferventissima preghiera» senza lasciarsi scoraggiare dalle asprezze e fatiche degli inizi, ma ricordando che è Lui ad averci cercati per primo e che nulla «può essere più dolce per noi di questa voce del Signore che ci chiama e, nella sua grande bontà ci mostra il cammino della vita». «È naturale infatti che, agli inizi, la via sia stretta e faticosa, ma poi, avanzando nel cammino di conversione e di fede, si corre con cuore dilatato e con ineffabile dolcezza di amore sulla via dei divini comandamenti».
Questo cammino è guidato e sostenuto in primo luogo dall’Abate, che nel monastero «tiene le veci del Cristo» e poi dai fratelli, che sono invitati a praticare lo «zelo buono» (cap.72), sopportando le loro reciproche infermità, gareggiando nell’obbedienza reciproca, cercando ciascuno il vantaggio dell’altro, amandosi con cuore casto, volendo bene al loro Abate come un padre e nulla assolutamente anteporre a Cristo. Così potranno giungere tutti insieme alla vita eterna, poiché nel monastero nessuno vive per sé, ma cammina portando anche gli altri.