«Pace a voi!», vi ripete Gesù, entrando nelle vostre case. E Maria permanentemente sta con voi, in silenziosa preghiera.
A voi, cari malati, quale biglietto scrivere? La mano esita. Ogni giorno vi raggiungiamo con la preghiera, con l’offerta delle nostre piccole fatiche e sofferenze; sostiamo così, invisibili, presso i vostri letti di dolore; con voi e per voi riceviamo l’Eucaristia, Pane di vita.
San Giovanni ci aiuta a dare un senso a questo «flagello» che ci ha colpiti di sorpresa e in modo tanto devastante. Questa tribolazione – dice – è una «prova», una durissima prova, ma ogni prova ha un suo misterioso valore, per il bene dei singoli e di tutti. Per questo l’Apocalisse ci esorta: «Non temere ciò che stai per soffrire… Sii fedele». E il dono promesso è la «corona della vita», vale a dire una vita rinnovata e resa feconda dalla sofferenza, come le piaghe gloriose di Cristo, dopo la sua Passione.
La terza lettera è per voi, giovani. In questo frangente la posta in gioco è alta. Siete nati e cresciuti in una società che attraversa una profonda crisi epocale, una società piena di idoli, e spesso idoli in frantumi, così che la confusione si fa ancora più grande. La vostra libertà è interpellata. I venti contrari sono forti, ma voi non abbiate paura! Coltivate alti ideali! «Sognate in grande», vi dice Papa Francesco. E spiega: «Tutti nella vita sognano di realizzarsi. Ed è giusto nutrire grandi attese, aspettative alte che traguardi effimeri – come il successo, il denaro e il divertimento – non riescono ad appagare. In effetti, se chiedessimo alle persone di esprimere in una sola parola il sogno della vita, non sarebbe difficile immaginare la risposta: “Amore”. È l’amore a dare senso alla vita, perché ne rivela il mistero. La vita, infatti, si ha solo se si dà, si possiede davvero solo se si dona pienamente» (Messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni 2021).
San Giovanni, nelle sue lettere, vi indica la via sicura dell’amore vero: «Tenete saldo il Nome di Gesù!». Il Signore vi consegna una «pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo». È il nome della vostra vocazione, della vostra missione, perché il Signore ha un disegno su di voi e a ciascuno Cristo Risorto pone la domanda: «Mi ami tu?». Se, all’udirlo, tu rispondi: «Sì, tu sai tutto: tu sai che ti amo», egli ti soggiunge: «Pasci le mie pecorelle», che significa: dona la tua vita per gli altri. E conoscerai la gioia vera.
Agli operatori sanitari, agli insegnanti, a tutti coloro che in vario modo – ricercatori, politici, assistenti sociali – si sono spesi per alleviare le fatiche e le sofferenze di tutti, giunga non tanto una lettera, quanto un sincero riconoscimento per il servizio prestato con costanza, senza calcoli, oltre ogni limite di umana resistenza e di comprensibile timore. Abbiamo raccolto in questi mesi toccanti testimonianze, e certamente sono solo una goccia. Ma bastano per intuire che vi siete trovati nell’abisso, spesso impotenti, costretti a constatare tante, troppe morti; avete dovuto misurare su molti fronti le gravi conseguenze della pandemia…
Per voi giunge dall’Apocalisse l’invito a resistere, a perseverare con fede nella carità, nel servizio, senza lasciarvi condizionare o sedurre dalle forze contrarie, che purtroppo sempre ci sono (cf. Ap 2,19-20). Stupendo il dono che vi attende: a chi persevera sarà data la «stella del mattino». «E quindi uscimmo a riveder le stelle», dice Dante al termine dell’Inferno. Conoscerete la gioia che si prova quando si esce da un tunnel e ci si ritrova in piena luce, circondati da molti che sono stati soccorsi nell’ora della prova. È lo stupore della pesca meravigliosa, dopo una notte di ardua fatica (cf. Gv 21).
Non può mancare, naturalmente, una lettera alla famiglia dei nostri oblati. Eravamo soliti in questo tempo di Pasqua ritrovarci tutti insieme per la «Giornata di spiritualità». È il secondo anno che questo appuntamento non può avvenire. Nell’attesa di un incontro, che speriamo non troppo lontano, ci sembra adatta a voi in questo tempo di emergenza la lettera di Giovanni alla Chiesa di Sardi (Ap 3,1-13). Una lettera molto severa, che mostra un panorama fosco, a voi ben noto: città spiritualmente morte, dietro l’apparenza di una vita che vita non è. La vostra oblazione vi chiama ad essere lì, in quel contesto umanamente scoraggiante, come seme fecondo, come lievito, come luce nelle tenebre del male, come cercatori della perla preziosa. In una parola, come testimoni della spiritualità benedettina fondata sulla preghiera e sul lavoro, sull’ascolto della Parola e sulla comunione: una spiritualità battesimale che non si contraddistingue per qualcosa di eccezionale, ma per quella «veste candida», non macchiata da compromessi, menzogne ed egoismi.
Quale testimonianza più bella? Quale compito più arduo?
Vi sia di sostegno la preghiera della comunità monastica cui vi siete legati con il vincolo dell’oblazione e di cui siete il prolungamento nel mondo. Come discepoli di Emmaus, arda l’amore nei vostri cuori e vi dia forza di correre e diffondere l’annunzio della risurrezione.
Una «lettera di tenerezza» è per le persone più fragili, sole e indifese. Il pensiero corre a voi, anziani, che, privati dell’affetto dei famigliari, certamente vi siete sentiti ancora più isolati, talvolta forse senza neppure comprendere bene che cosa stava accadendo…
Davanti ai nostri occhi, poi, scorrono le crude immagini dei profughi, dei senza-tetto, di tutti gli ultimi della società. E la lettera diventa confessione e supplica, perché tutti siamo in vario modo colpevoli di questa “cultura” – anzi, “anticultura”– dell’indifferenza e dello scarto, per cui «le persone che non sono “utili” si scartano», come insistentemente ripete Papa Francesco. Una cultura disumanizzante cui già san Benedetto opponeva la cultura del servizio (lavanda dei piedi), dell’accoglienza e dell’ospitalità: una cultura che ha sempre al centro Cristo, che è servito e serve, che accoglie ed è accolto, che nel povero si nasconde e nel povero, per fede, si rivela. È proprio questo il messaggio della lettera di san Giovanni alla Chiesa di Filadelfia, la Chiesa dell’“amore fraterno”, come significa il suo nome: «Per quanto tu abbia poca forza hai però custodito la mia parola e non hai rinnegato il mio nome». Nella vostra stessa povertà, voi ci mostrate al vivo il Vangelo delle Beatitudini, che sono l’icona di Cristo. Per voi è la promessa: sarete una colonna nel tempio di Dio, per noi l’esortazione: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese».
La settima ed ultima lettera, che in qualche modo tutte le unifica e a tutte dà completezza, è per i consacrati: sacerdoti, religiosi e religiose. «Ecco: sto alla porta e busso…». Sì, avete bussato, anzi, con coraggio, siete entrati anche a porte chiuse, per essere là, dove più grande era il dolore. E avete trovato tanti che vi attendevano nella loro desolazione. A nome dei familiari, avete fatto percepire la vicinanza dell’amore che consola; come “medici” dell’anima avete offerto la medicina celeste: la Parola di Dio, i sacramenti, la benedizione; come fratelli e padri, avete offerto voi stessi – spesso malati con i malati – come Eucaristia vivente. È stata per voi una priorità essere presenza all’interno degli ospedali. Ed è questa la più alta forma di carità. Soffrire con chi soffre, accompagnare nell’ultimo passo chi muore è l’espressione più pura dell’amore.
A conclusione, desidero indirizzare un’ultima lettera ai bambini. In realtà, non è una lettera, e neppure un biglietto. È una semplice parola: Grazie! Il vostro sorriso ci è necessario per custodire viva la speranza nei nostri cuori. E grazie ai genitori che sanno ancora scommettere sulla vita! È stato motivo di grande gioia ricevere in questi mesi di lokdown annunzi di nuove nascite, davvero tanti, anche tra i nostri familiari.
Ecco, con le sette lettere di san Giovanni alle sette Chiese ci disponiamo ormai a riprendere il Tempo Ordinario, che è il Tempo della Chiesa, il tempo della testimonianza cristiana, il tempo di vivere in comunione, sostenendoci a vicenda per formare un cuor solo e un’anima sola.
Pace a tutti nel Signore!
Madre M. Grazia Girolimetto osb