Venerdì Santo
Marzo 29, 2024 |
Ogni sofferenza umana scatena una sorta di dolorosa impressione di ingiustizia, soprattutto quando colpisce i piccoli o gli innocenti.
Il paradosso della croce di Gesù è proprio quello di riuscire a mutare lo scandalo provocato dalla sua morte infamante nella proclamazione che l’amore va al di là di tutto. Sì, perché in Gesù la sofferenza stessa con quanto vi è racchiuso di indisponente e di oscuro si muta in una prova di amore, come sta scritto: «Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine» (Gv 13,1).
Padre e Figlio sono accomunati in questa dolorosa rivelazione: «Dio – il Padre – ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (cfr. Gv 3,16); a sua volta, il Figlio afferma che: «bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre» (Gv 14,31) e inoltre: «Il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?» (Gv 18,11).
Non è facile al nostro angusto modo di valutare gli avvenimenti entrare in questa logica divino-umana. Solo così però anche la sofferenza trova una sua rappacificazione. Essa è solo un passaggio, certamente doloroso ma destinato a fiorire in amore, come la morte è destinata a schiudersi in vita. Il Padre, infatti, dopo aver permesso che il Figlio sia consegnato alla morte, uomo tra gli uomini, lo risveglierà dal sonno per riprenderlo con sé per sempre nella sua gloria aprendo così un varco a tutti coloro che vivono e muoiono in Lui: «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rm 14,8).
Sostiamo in questo giorno ai piedi della croce per immergerci in quell’amore così grande e assoluto che ha vinto la morte stessa. Tale mistero non si è concluso sul Calvario, ma continua nell’umanità, nella Chiesa, e in ogni uomo che soffre e che muore. Gesù, infatti, rimane con noi e per noi fino alla fine del mondo.