L’amore non può restare rinchiuso in un sepolcro
Aprile 4, 2021 |
Oggi celebriamo l’irrompere della vita di Dio in noi: Gesù, il Risorto, ci testimonia che la morte non ha l’ultima parola. Le aspirazioni del nostro cuore per la felicità, per la bellezza, per un destino eterno non sono un inganno.
Oggi celebriamo l’irrompere della vita di Dio in noi: Gesù, il Risorto, ci testimonia che la morte non ha l’ultima parola. Le aspirazioni del nostro cuore per la felicità, per la bellezza, per un destino eterno non sono un inganno. Noi cristiani, infatti, manchiamo spesso dell’umiltà e dell’audacia che ci permettono di vivere il nostro credere nella sua potente verità. Ci è chiesto invece il coraggio della gioia.
Il fatto di essere ancora immersi in uno scenario mondiale per tanti versi drammatico a motivo della pandemia, il vedere che i rimedi proposti per sconfiggere il virus non sono stati la bacchetta magica che avrebbe sciolto in un batter d’occhio ogni problema, ci lasciano spesso sgomenti. Eppure dovremmo ricordare quanto recita una scritta sullo stipite della porta del monastero benedettino di Subiaco: «Non nisi in obscura sidera nocte micant» (Le stelle brillano di più quanto più fonda è la notte).
I momenti in cui ci sentiamo più avvolti dall’oscurità non sono un attentato contro di noi, ma l’occasione favorevole per scoprire un mistero più profondo. È la pedagogia di Dio, il Padre buono. Il lungo itinerario quaresimale ci ha insegnato – con la guida dell’evangelista Marco – ad accompagnare Gesù verso il compimento del suo viaggio terreno. Con la salita a Gerusalemme Egli ha consumato il dono della sua vita in mezzo a due malfattori, ma è stato proprio lì, nello strazio della sua morte, che è sgorgata la pura professione di fede del Centurione: «Davvero quest’uomo era figlio di Dio» (Mc 15,39).
E anche quando la pietra rotolata all’entrata del sepolcro sembrava porre un sigillo definitivo all’inesorabile morte di Gesù, c’è stato l’irrompere stupendo e impensato della potenza di Dio: «È risorto, non è qui!», dice l’angelo alle donne che volevano pietosamente ungere il suo corpo.
L’Amore non può restare rinchiuso in un sepolcro.
La Pasqua è questa festa che ci fa ritrovare tutti insieme attorno al Risorto, che può mostrarci le sue piaghe gloriose donandoci la Pace che è Egli stesso. Solo così possiamo tornare ad essere «figli della gioia» come erano chiamati anticamente i cristiani (cfr. Lettera di Barnaba).
Stiamo celebrando anche il settimo centenario della morte di Dante, il grande poeta cristiano. Egli sa descrivere in versi la sua avventura umana verso «l’Amor che move il sole e l’altre stelle» (Par. XXXIII, 145) e ben a ragione può affermare qual è l’effetto che tale luce opera: «A quella luce cotal si diventa, /che volgersi da lei per altro aspetto / è impossibil che mai si consenta» (Par. XXXIII, 97-102). Se ci lasciamo affascinare dal Risorto null’altro potrà più appagare il nostro cuore.
Gesù ha detto anche «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12) e desidera farsi incontrare da ciascuno di noi. Nulla allora ci potrà turbare. Infatti, ci ha anche assicurato: «Ecco io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Non è questo forse il più bell’annunzio di speranza che possiamo offrire ai nostri fratelli in umanità?
Benedettine dell’Isola san Giulio