Un’Isola protesa al cielo

Isola San Giulio: mistico approdo al silenzio e alla lode

Gennaio 31, 2021 |

Contemplando il lago d’Orta, Eugenio Montale vedeva «le Muse appollaiate sulla balaustrata…» (1975), e Gianni Rodari, descrivendo l’isoletta di San Giulio scostata dalla riva di Orta appena quel poco...

…che basta per renderla autonoma, diceva che gli sembrava «fatta tutta a mano, come un gioco di costruzioni, metro per metro, secolo per secolo, dandosi il cambio uomini ed altri uomini…» (C’era due volte il barone Lamberto, Einaudi, Torino 1978).
Ciò che impressiona all’arrivo in questo angolo appartato del Piemonte è soprattutto il misterioso fascino che promana dalla sua dolce e insieme austera solitudine, che carpisce l’anima dandole lo struggimento di un inesprimibile sentimento tra lo stupore e lo sgomento, la gioia e la speranza. E questo sentimento è suscitato non solo dalla veramente incantevole bellezza naturale, ma anche – e forse ancor più – da quell’arcana atmosfera di antico che, tra storia e leggenda, trasuda dalle sue grigie pietre. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce materiali preistorici, che vi attestano la presenza umana già a partire da quattro o anche seimila anni avanti Cristo, inoltre tratti di muri antichissimi confermanti l’insediamento paleocristiano in questo piccolo scoglio destinato a divenire – attraverso molte vicissitudini – un castrum, una fortezza di carattere civile e insieme religioso.

L’arrivo di San Giulio, prete originario di Egina, isola del mare Egeo, avrebbe la sua conferma storica nel primo edificio absidato del iv-v secolo e in altri reperti di primaria importanza, quali le tarsie marmoree di alto pregio, che erano appunto in uso nel periodo in cui la corte imperiale si era insediata a Milano (dal 286 al 402) e in quello immediatamente successivo (v-vi sec.). Molto significativa al riguardo è anche la presenza di una lastra marmorea (cenotafio) con fini incisioni simboliche incentrate su una croce latina gemmata, sormontata dal chrismon e affiancata da palme e pavoni, simboli d’immortalità che rimandano ai modelli romani e ravennati diffusi tra il v e vi secolo (cf. Il cristianesimo a Novara e Territorio. Atti del Convegno 10 ottobre 1998, Interlinea, Novara 1999, pp. 83-103, passim). Infatti l’associazione del chrismon (segno di Cristo) con i pavoni e le palme, simboleggianti la vittoria di Cristo sulla morte e la risurrezione dei corpi, è una composizione iconografica funeraria che si giustifica egregiamente per una tomba molto venerata, quale poteva essere quella del Santo evangelizzatore che aveva portato la fede cristiana in questo territorio.

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