Il dono di un nuovo inizio

Il dono di un nuovo inizio

Dicembre 25, 2021 |

Il Natale è un avvenimento di grazia che non può essere vissuto “in privato”, in modo egoistico; ha una portata universale e ci apre agli altri, ci rende dono gli uni per gli altri: dono di pace, dono di comunione, dono di bontà.

Risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita. (Fil 2,15-16)

Carissimi,

siamo in cammino verso Betlemme. La bella Liturgia dell’Avvento ci guida e di giorno in giorno fa crescere in noi lo stupore e la gioia per l’ineffabile Mistero di un Dio che si fa Bambino.

Ogni anno risuona “nuovo” l’angelico annunzio: «Oggi a Betlemme è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo Signore».

Nuovo, perché inesauribile; nuovo, perché lo ascoltiamo dal profondo della nostra vita intessuta con i fili di eventi personali e sociali mai prima accaduti; nuovo, soprattutto perché la nascita del Verbo di Dio nella carne costituisce il dono di un nuovo inizio.

In una vigilia di Natale dei primi anni di fondazione, così scriveva la nostra Madre Anna Maria:

«Notte di stelle – Notte di pace…

Non c’è più bel Natale di questo.

Pastori vigilanti in questa deserta contrada:

potremmo non udire il canto degli angeli

che annunziano la “grande gioia”?

Il Bambino, il Bambino che nasce

– che nasce proprio ora e qui! –

è la realtà più bella e importante.

Con sollecitudine accorata

vado in giro per questa piccola “città”

risvegliando gli animi davanti al “Giorno”

che spunta proprio nel cuore della notte.»

Sì, anche noi andiamo per tutte le contrade della terra, nei luoghi più sperduti e poveri! Là più certamente potremo trovare Gesù adagiato in una mangiatoia. Siamo tutti provati dalla lunga prova del covid e muti di fronte alle tante tragedie di profughi, di guerre, di rifiuto della vita: Vieni, Gesù, a rischiarare le umane tenebre!

Quanto dolore e quante solitudini nei cuori! Ci vuole, da parte nostra, un “di più” di fede, di speranza, di “compassione”.

Il Natale è un avvenimento di grazia che non può essere vissuto “in privato”, in modo egoistico; ha una portata universale e ci apre agli altri, ci rende dono gli uni per gli altri: dono di pace, dono di comunione, dono di bontà.

Andare a Betlemme sia proprio un pellegrinaggio compiuto insieme, nella carovana dei popoli; sia un cammino di purificazione del desiderio, per ravvivare l’anelito del Desiderato da tutte le genti.

Appena nato, Gesù è stato deposto in una mangiatoia.

E noi verso quale “mangiatoia” siamo orientati?

Questo luogo di povertà assume un alto significato simbolico: è di Gesù che siamo affamati; è di questa Vita che ha fame e sete ogni uomo e ogni donna, ogni piccolo e povero della terra. Ed è questa Vita che noi vogliamo offrire, consumando poveramente, lietamente, silenziosamente per Lui le nostre vite, perché di Lui viviamo e altro che Lui non possediamo.

Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Dio, diceva Agostino: di Lui abbiamo bisogno; abbiamo bisogno di un «Dio-con-noi» che ci salvi e si faccia nostro compagno di cammino; abbiamo bisogno di un Dio che ci insegni a gustare la bellezza della vita in comunione, la bellezza delle diversità, la bellezza dell’arcobaleno di pace.

Mistero dell’Incarnazione: mistero di un Dio che si fa Dono.

Ma in che modo? Con quale stile?

Dio si dona nella piccolezza e nella fragilità di un bambino: piccolo e indifeso, non suscita timore, non innalza barriere, è disarmato e disarmante.

Dio si dona in povertà e umiltà; solo i piccoli, i poveri e gli umili hanno occhi capaci di riconoscerlo.

Dio ci chiede in questo Natale di non aver paura della nostra piccolezza, delle nostre fragilità e povertà: sono i luoghi benedetti, dove Lui vuole venire ad abitare.

Dio si dona nella semplicità e nell’ordinarietà. È lì, nel quotidiano, che prende dimora e cresce la Vita.

Questo Natale, allora, ci insegni a non fuggire lontano, dietro a sogni illusori, ma ci trovi pronti ad accogliere, come dono di Dio, quanto ci accade e ci viene incontro nei segni poveri e semplici di ogni giorno: nelle persone che incontriamo, nel lavoro che svolgiamo, nei servizi che ci sono richiesti.

Davanti alla culla del Bambino ci troveremo forse a mani vuote, senza nulla da offrire, se non il desiderio: un desiderio che spesso si scontra con le contraddizioni del nostro vivere. Ma Gesù non chiede “cose”, non cerca neppure i nostri “meriti”, desidera solo due braccia libere, come quelle di Maria e di Giuseppe, pronte a stringerlo con amore. È la conversione che l’Avvento ci chiede.

Affrettiamoci: il Bambino ci aspetta! Diamogli il nostro cuore come casa, accogliendo tutti i nostri fratelli. «Per loro non c’era posto…». Impressionante e tanto attuale questo dato registrato dal Vangelo. Là dove per Gesù e la Sacra Famiglia non c’è posto, noi prepariamo un posto. Là dove le porte sono chiuse, noi apriamo; là dove si scrive: «Respinti», noi scriviamo: «Venite, voi tutti che siete affaticati e oppressi». Tanti bussano alle nostre frontiere, alle porte delle nostre case, del nostro cuore; tanti soffrono di angosciosa solitudine: apriamoci e offriamo loro il sorriso di Gesù, la pace di Gesù, il Pane che è Gesù. Nessun gesto buono ci sembri mai troppo piccolo.

Scrivendo questo, mi viene in mente un altro particolare della nostra vita monastica. Quando una sorella entra come postulante in monastero, abbiamo la consuetudine di farle trovare nella cella la statua di Gesù Bambino, e là rimane fino all’ingresso successivo. Non poche volte le sorelle depongono nella culla una loro “letterina”. Una parola ritorna spesso, come il desiderio più vivo: condivisione: «Caro Gesù Bambino! Appena sono entrata in cella, mi hai strappato un grido di meraviglia! Non sarei rimasta tanto sorpresa se i miei occhi si fossero posati su una grande, nuda croce. Entrando in monastero questa la si attende! Invece, ad aspettarmi eri là Tu, Gesù Bambino, nella tua semplice culla, le braccine protese verso di me, e il volto disteso in un sorriso di cielo… Questa gioia di stare con Te per sempre è troppo grande bisogna condividerla…

Caro Gesù, desidero tanto una sorellina, ma che dico “una”? Un’altra e poi un’altra ancora… La mia cella è grande: posso ben dividerla in due, in tre… in cento!».

Carissimi, adorando il Bambino che ancora viene a nascere tra noi, deponiamo ai suoi piedi la nostra vita come lettera aperta, perché possa scrivere ciò che Egli desidera da noi.

Come i pastori, diffondiamo la sua gioia nel nostro ambiente; come Maria e Giuseppe, custodiamo il Bambino e serviamolo in umile e operante silenzio, come i Magi, portiamo il suo Nome nelle periferie più desolate, perché chi piange sia consolato, chi dispera ritrovi speranza, chi è solo conosca che Dio è con noi, sempre.

Santo Natale e buon Anno!
Madre Maria Grazia Girolimetto osb

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