La Quaresima è un tempo santo, un tempo di revisione, un tempo nel quale riesaminiamo la nostra coscienza spirituale mediante l’ascesi e il digiuno. Mettiamo un freno alla mente che straripa di fantasie e di sospetti che stordiscono la coscienza tanto da renderci incapaci di vedere il male. Nella stagione del digiuno quaresimale dovremmo desiderare molto la Parola di Dio. E per questo che i padri hanno sempre messo insieme digiuno e preghiera.
Se prestiamo attenzione al «Padre nostro» (Mt 6,9-15) ci renderemo conto che si tratta di una preghiera eucaristica. E la prima preghiera eucaristica che il Signore insegna ai suoi discepoli e a noi. I discepoli avevano chiesto al Signore: «Signore, insegnaci a pregare», ed egli aveva risposto loro: «Quando pregate, dite: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno…”».
Sia santificato il tuo nome, lo facciamo durante la Liturgia, quando santifichiamo il nome di Dio. Se poi preghiamo sul cibo, il pane ne è santificato perché in ogni pane che mangiamo nel nome del Signore scorre la potenza del Signore.
Ecco il primo punto importante: dobbiamo saziare prima lo spirito con la preghiera, poi offriamo al corpo il pane di cui ha bisogno.
Conversione: incontro con Gesù
La conversione è l’unica via per giungere alla conoscenza della persona di Cristo. Mediante la compunzione per il peccato, scopriamo la misericordia di Gesù, il valore del suo sangue e la potenza che la sua divinità possiede di far risorgere dalla morte e dagli inferi.
Se non avvertiamo la serietà del peccato che opera in noi, non riusciremo mai ad apprezzare il valore del sangue divino e non percepiremo mai il mistero della redenzione.
Se non esaminiamo la nostra coscienza, se non prendiamo distanza dalle brutture della nostra vita interiore, se, così facendo, non scopriamo la verità di noi stessi, non sentiremo il bisogno di Cristo.
La sua divinità resterà per noi un semplice articolo di fede che ci interesserà più o meno da vicino. Il sangue versato sulla croce, invece, sembrerà non essenziale o come un elemento necessario soltanto alla narrazione della Passione.
E invece, che gloria ha in serbo il Signore per il cuore che si converte!
Che potenza il sangue per la coscienza che geme per il peso del peccato!
Quando l’anima giunge alla propria verità dopo aver affrontato con coraggio il proprio peccato, senza fuggire o addurre scuse, allora non avrà altra via d’uscita se non cadere ai piedi della croce. Non riterrà più Gesù un articolo intellettuale di fede ma una questione di vita o di morte, l’unica vera salvezza dagli inferi.
Di che cosa ha bisogno il peccatore per accogliere la fede in Cristo così da ricevere la vita e la salvezza?
Di nulla! Semplicemente non deve resistere alla voce interiore e alla chiamata.
All’inizio del cammino con Dio il peccatore è come un morto nella tomba. Il peccatore ingannato e ucciso dal peccato appare fiacco, con uno spirito privo di dinamicità, senza orecchi per udire.
Per lui è venuto il Figlio di Dio, la Parola viva del Padre, e ha inviato la sua voce attraverso il Vangelo per seminare nell’anima morta, con la sua Parola, un nuovo orecchio che ascolti e comprenda la fede.
Quando il peccatore sente la voce del Figlio di Dio vive e risorge dai morti! Per la legge spirituale, il peccatore è un uomo morto. Ma non esiste creatura così viziata e amata da Dio come questo morto fetido per il peccato. Cristo infatti era noto per essere «amico di pubblicani e peccatori» (Mt 11,19).
La voce di Dio non è solo una forza vivificatrice, ma anche magnetica: essa è capace di attirare l’anima dagli abissi della morte e degli inferi e di farla risorgere dalla tomba delle passioni, slegandola e spingendola. Tutte queste cose l’anima è incapace di farle da sola. Anzi, le è impossibile anche solo parteciparvi con un po’ di sforzo. A essa è richiesto solo di non respingere tutto questo: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6,44); «Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori» (Gv 6,37).
Spogliarsi dell’uomo vecchio, rivestire Cristo: i sacramenti della Chiesa
Il Battesimo ha in sé tutto il concetto di “ascesi” dalla prospettiva di Dio. Esso, infatti, riguarda lo spogliarsi dell’uomo vecchio e il rivestirsi del nuovo, cioè di Cristo: «Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27).
E ancora: «Abbandonate, con la condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, e rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestitevi dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità» (cf. Ef 4,22-23).
Questo “spogliarsi” avviene in maniera segreta ed efficace, grazie a un’azione divina, nel mistero del Battesimo, e si rinnova, si rafforza e viene portato a perfezione nell’arco di tutta la vita mediante il mistero della conversione perché la conversione altro non è che un rinnovamento del Battesimo.
Il “rivestire” Cristo, invece, è dono e grazia: luce, sguardo spirituale, pace interiore, amore che supera la mente, pazienza perfetta, consolazione del cuore, gioia che domina nel momento dello sconforto, sopportazione delle avversità, dell’ingiustizia e dello scherno e tutti gli altri doni preziosi di Dio, donati dallo Spirito Santo come frutti della vita di Cristo in noi.
Questo “rivestire”, sebbene si compia una volta e per sempre nel mistero del Battesimo, viene rinnovato mediante il mistero dell’Eucaristia.
Svestire” l’uomo vecchio e “rivestire” la vita di Cristo è un’operazione unica, unificata, ordinata, coordinata, che continua per tutto l’arco della vita.
La prima operazione, lo “svestire”, si regge sulla seconda, il “rivestire”, e non può compiersi senza di essa. La seconda, invece, permane grazie alla prima e senza di essa si disfa e perde di efficacia.
E questo si realizza proprio nel mistero della conversione e dell’Eucaristia: la conversione continua, lo “svestire”, e la comunione continua il “rivestire”.
Nella conversione si pratica l’esame di coscienza, il pentimento, il controllo di sé, il contenimento dei diversi impulsi disordinati e la confessione dei peccati. La Chiesa sigilla questo sforzo attivo donando il mistero del perdono nell’assoluzione e nell’Eucaristia. Attraverso di essa facciamo nostra la vittoria di Cristo sulla morte, gli inferi e Satana, e disattiviamo il potere del peccato che porta alla perdizione.
La Chiesa, quando si riunisce attorno all’Eucaristia, rappresenta il popolo di Dio che ha attraversato il mar Rosso, cioè la morte, passando all’altra riva, cioè la vita, sconfiggendo Faraone, cioè Satana. Tutti cantano il cantico della vittoria e della salvezza in vista dell’ultima vittoria e della salvezza escatologica.
La Chiesa sa che la vita delle persone è sempre a rischio della caduta, che il nemico è in agguato contro i suoi figli notte e giorno, e che il peccato non smetta di combattere il corpo.
Mediante la ripetizione del perdono e della comunione la Chiesa ha donato ai nostri cuori una forza senza fine per poter proseguire il cammino fino alla fine.
In profondità: il combattimento spirituale con la forza dello Spirito
Lo Spirito santo non opera in superficie né in maniera apparente, ma nell’intimo e molto di nascosto. Per questo, se vogliamo seguire l’azione dello Spirito Santo nelle nostre vite, dobbiamo approfondire ogni cosa: il nostro modo di pensare, la nostra coscienza, le motivazioni alla base della nostra condotta, i nostri desideri.
Dobbiamo pregare, piangere in profondità, servire con profondità e amare Dio e gli altri con amore profondo. È attraverso questa profondità che riusciamo a confrontarci con il pensiero, le esigenze e gli scopi che lo Spirito Santo ha per noi.
Approfondire significa fatica. E se trascuriamo di compiere quest’operazione a causa della fatica e dello sforzo necessari, restiamo in superficie e viviamo di apparenza, parliamo e agiamo superficialmente e, dunque, non riusciremo a trovarci di fronte allo Spirito Santo.
Senza l’opera dello Spirito Santo, l’uomo commette il peccato con una facilità estrema senza alcun conflitto interiore e alcun senso di colpa.
Lo Spirito Santo inizia la sua opera mettendo il comandamento dinanzi alla coscienza dell’uomo come misura divina.
Subito comincia il conflitto tra la mente che accetta l’invito al bene e il peccato accovacciato nelle membra del corpo, come un serpente mosso da Satana.
Più la mente accoglie lo Spirito e obbedisce al suo consiglio più si intensifica l’opera dello Spirito e con essa il conflitto. L’intensificarsi del conflitto è la prova o il termometro dell’efficacia sempre maggiore dello Spirito Santo.
Cammino di santificazione
Se la mente giunge alla convinzione della serietà del peccato, significa che si è alleata con lo Spirito Santo e che è in atto la santificazione della mente.
La santificazione della mente non resta senza effetti: con la mente liberata dalla legge del peccato e santificata dallo Spirito, la volontà diventa sempre più tenace nel combattere contro il peccato.
È l’inizio della vita di giustizia e di santità.
Tuttavia, non significa che il conflitto interiore si plachi. Esso infatti durerà fintantoché saremo in vita. Al contrario, nella persona che combatte sulla via della santità, il conflitto diventa a volte di un’intensità fortissima; altre volte, quando domina la grazia, il conflitto si rabbonaccia e al suo posto regna la pace dello spirito.
Quando scopriamo la verità di noi stessi, quando ci convinciamo dello svigorimento che ci ha colpiti, ci renderemo conto da noi stessi che non c’è altro modo di entrare alla presenza di Dio se non mediante la porta del pentimento e della conversione. Come siamo usciti dalla presenza di Dio dalla porta della negligenza, dell’indolenza e della pigrizia spirituale, così Dio ci fa grazia del ritorno a lui passando dalla porta del pentimento e della conversione.
Quando ci condanniamo sinceramente e totalmente alla presenza di Dio, pentendoci nella polvere, piangendo per il tempo dell’ignoranza e convertendoci con lealtà davanti al Signore, allora ecco che le energie dell’amore di Dio si sprigionano in noi perché egli non sopporta di fare riserva del suo amore verso coloro che ritornano a lui da un paese lontano (cf. Lc 15,13). Allora Dio asciuga con le sue stesse mani le nostre lacrime (cf. Ap 21,4) e, al posto dell’angoscia amara, ci unge di olio di letizia per la salvezza (cf. Sal 45,8). E mentre noi gli raccontiamo della nostra ingratitudine, Lui ci prepara di nascosto il banchetto di nozze (cf. Ap 19,9). Noi raccontiamo davanti a Lui il nostro peccato e Lui ci parla della sua fedeltà. Noi gemiamo del peso del peccato e Lui geme sotto il peso del suo amore. Così ci supplica continuamente di accogliere il suo amore affinché vinca la nostra debolezza e trasformi le nostre lacrime della conversione, che bruciano di dolore, in lacrime di gioia per la salvezza eterna. Così il ritiro quaresimale porta il suo più grande frutto che resta a noi per sempre: il frutto dell’amore divino, il carburante dell’eternità, il fuoco che il Signore ha gettato su questa terra infelice per trasformare la nostra infelicità in felicità eterna, in un mistero che non comprendono se non i penitenti che ritornano.
Questo testo è tratto dal libro che stiamo leggendo in refettorio:
Matta el Meskin, Ritrovare la strada. Meditazioni per la Quaresima, Qiqajon, Magnano 2017.
Leggi Tutto