L’antifona di ingresso dà voce al nostro slancio e alla nostra riconoscenza: «Nos áutem gloriári opórtet…», a noi conviene gloriarci, vantarci, unicamente della Croce di nostro Signore Gesù Cristo: egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati pienamente salvati e liberati (cf. Gal 6,14). È una solenne proclamazione di fede e un entusiastico rendimento di grazie, perché la croce, strumento di morte e segno di ignominia, diventa – per mezzo di Cristo – strumento di salvezza per il mondo intero e glorioso vessillo di vittoria.
La fervida esplosione iniziale lascia ora il posto ad un gaudio più raccolto. Questo passaggio, oltre che nel silenzio in cui si chiudono l’organo e le campane, si avverte anche nella colletta che, menzionando la morte del Signore, richiama alla memoria anche la triste figura del traditore. Nello stesso tempo, essa sottolinea il legame strettissimo tra la mensa che Gesù ci offre sulla terra e quella che ci prepara nel suo Regno: donandosi a noi, ci trasforma, ci immette nel dinamismo della carità divina: «O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena nella quale il tuo unico Figlio, “prima di consegnarsi alla morte”, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, “convito nuziale” del suo amore, fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita».
Le letture presentano la Pasqua dell’Antica e della Nuova Alleanza e ne mettono in evidenza la stretta relazione. Nel passo dell’Esodo (12,1-8.11-14) vediamo la Pasqua dell’Antica Alleanza, le prescrizioni relative al rito in cui spicca l’immagine dell’agnello immolato, memoriale della liberazione dalla schiavitù d’Egitto.
Nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi (11,23-26) ci viene presentato in termini essenziali il “memoriale” della Nuova Pasqua. Cristo trasmette ai suoi la “memoria” del suo sacrificio liberatore, perché lo rendano sacramentalmente attuale fino alla fine del mondo.
Non siamo radunati per una cena qualunque, ma per entrare in comunione di vita con il Signore e tra di noi, mangiando di quell’unico Pane e bevendo a quell’unico calice che il Cristo, nella notte in cui fu tradito, istituì quale nuova alleanza tra Dio e gli uomini e quale sacramento dell’unità per la Chiesa, la quale sarebbe nata dal suo sangue sparso sulla Croce.
Nessun posto può dunque esservi per le discordie, per l’egoismo, per tutto quanto è durezza e chiusura verso gli altri. Ci accingiamo a partecipare alla cena della fraternità con il desiderio di essere pienamente riconciliati con Dio e con i fratelli. Ed ecco che Gesù stesso presente in mezzo a noi ci prepara al suo dono, chinandosi su di noi per lavarci i piedi in segno di purificazione.
Il rito della lavanda dei piedi, dopo la lettura del passo evangelico che ne svela il senso, non è una suggestiva commemorazione del gesto compiuto dal Cristo duemila anni fa, ma un’azione che opera ora in noi – nell’intera assemblea, anche se i prescelti sono solo dodici come gli apostoli – la stessa purificazione che operò negli apostoli.
È giunta l’«ora». Gesù sa che sta per passare da questo mondo al Padre. Il verbo “sapere”, ripetuto con insistenza in questo brano del Vangelo vuole mettere in rilievo la piena consapevolezza e la totale adesione alla volontà del Padre con cui Gesù affronta la Passione. È l’«ora» della più grande prova del suo amore; è l’«ora» della più drammatica «consegna» che sia mai avvenuta, perché si tratta di un Dio che si consegna agli uomini. L’amore vero non esita a mettere a rischio anche la propria vita. Gesù corre questo rischio fino in fondo.
Sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani, compie proprio lui, il Maestro e il Signore, il gesto del servizio più umile. Quale paradosso! Egli ha tutto nelle sue mani e si china a compiere un servizio che nella società di quel tempo era assegnato agli schiavi. Così facendo, egli vuole insegnare ai discepoli – a ciascuno di noi – che l’amore inizia dall’umiltà.
È da notare la sequenza dei gesti di Gesù: gesti calmi, solenni, compiuti con estrema semplicità. Gesù si alza da tavola, depone le sue vesti, prende la brocca, si cinge con l’asciugatoio, versa l’acqua nel catino, lava i piedi dei discepoli e li asciuga.
Una scena commovente e anche in certo modo imbarazzante. Si comprende la reazione di Pietro: «Signore, tu lavi i piedi a me?… Non mi laverai mai i piedi!». È segno che egli ha un concetto altissimo del suo Maestro. E Gesù in risposta: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci», tu ti fermi al gesto esteriore, che è solo segno di una realtà interiore. Con la lavanda dei piedi, infatti, egli si offre come modello del servizio, come icona della carità. I discepoli devono ricevere questo servizio per diventare a loro volta capaci di compierlo per gli altri: «Se non ti laverò, non avrai parte con me», se non ti laverò non diventerai capace di amare come io amo, non diventerai capace di servire «come» io sono venuto a servire, non diventerai capace di lavare i piedi ai tuoi fratelli, di purificarli, di servire i tuoi fratelli fino a dare la tua vita per loro. Pietro allora si arrende. «Capirai dopo», aggiunge Gesù. Quante cose bisogna accettare con spirito di fede e con pazienza, aspettando di capire dopo!
Le antifone e i canti che accompagnano, momento per momento, questo rito sono tra i più belli ed espressivi del ricco repertorio liturgico. Si sente subito risuonare la voce di Gesù: «Mandátum novum do vobis», vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Ed ecco che l’antifona successiva ci fa vedere che cosa significa amare con i fatti: «Póstquam surréxit…», il Signore si alzò da tavola, versò dell’acqua in un catino e iniziò a lavare i piedi ai discepoli. E, quasi ad esprimere lo stupore dei presenti, ancora si ripete: «Dóminus Jesus, póstquam cenávit…», dopo che ebbe cenato con i suoi discepoli, il Signore si alzò e lavò loro i piedi…
Dopo l’ultima preghiera della Messa, l’assemblea accompagna processionalmente Gesù eucaristico all’altare della riposizione, cantando l’inno «Pange lingua».
Raccogliendosi in adorazione del SS. Sacramento fino a mezzanotte la comunità cristiana, oltre ad esprimere la gratitudine per il dono ricevuto e la fede in questo sacramento dell’amore perenne di Cristo, intende rispondere all’appello del suo Salvatore: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me» (Mt 26,37).
Signore Gesù,
come nell’Ultima Cena con i tuoi,
tu sei in mezzo a noi come Colui che serve.
Tu ci onori del tuo servizio.
Tu, l’Altissimo, umile ai nostri piedi,
ce li lavi, ce li baci, ce li profumi d’amore,
ce li calzi di mansuetudine e di pace,
per farci camminare dietro a te fino alla Casa del Padre.
E la strada del ritorno passa per l’Orto degli Ulivi,
sale sul monte della Croce,
scende nella grotta del Sepolcro,
sbocca nel Giardino rifiorito.
Signore Gesù, pur essendo molto lenti a capire,
vorremmo saperti imitare
e farci con te servi di tutti,
per rendere visibile nei nostri gesti
la tua immensa carità divina.
ed essere un giorno introdotti
alla cena della Pasqua eterna
dove ancora tu stesso,
secondo la tua promessa,
passerai a servirci,
saziandoci di gioia
con la luce radiosa del tuo Volto.
Amen.