“Fare Pasqua” con il Signore
Marzo 28, 2021 |
La Settimana Santa è il cuore dell’anno liturgico, poiché dal mistero pasquale, in essa solennemente celebrato, scaturisce il fiume della grazia, il dono della salvezza.
Ogni cristiano che nelle settimane di Quaresima si è impegnato nella lotta contro il male e che, nello sforzo della propria purificazione, ha tenuto lo sguardo contemporaneamente rivolto a Dio e a se stesso, ora è invitato dalla Liturgia a non avere occhi che per il Cristo. È unicamente la sua Persona – le sue parole, i suoi gesti, i suoi silenzi – a colmare tutto questo sacro tempo e attirare tutta la nostra attenzione, fino a immedesimarci in Lui, per condividerne la Passione in uno slancio di autentica empatia, di profonda “com-passione”. Quale modello sublime di questa “com-passione” ci sta davanti la Vergine Madre. Nella Liturgia sentiamo il suo gemito nello stesso gemito del Figlio, ma ancor più la forza del suo silenzio adorante che abbraccia fino in fondo, con amore, la divina volontà. Ella è tutta un sì al Padre, un consenso che dilata la sua maternità di grazia in una dimensione incommensurabile. Come lei e con lei, ogni cristiano è chiamato a seguire Gesù sulla via della Croce animato da una forte e generosa volontà di offerta al Padre, in solidarietà con tutti i fratelli per i quali il sangue di Cristo è stato sparso.
Questo avviene non solo in virtù di un atto di fede e di amore che ci unisce al Cristo immergendoci nella grazia del suo mistero liturgicamente rinnovato, ma anche facendo rientrare nella sfera della sua Passione ogni dolore di oggi, sia il nostro personale, sia quello della società in cui viviamo e dell’intera comunità umana. Se consapevolmente viviamo come offerta la nostra “ora” e l’”ora” del mondo attuale, anche noi, come affermava san Paolo, portiamo «compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella [nostra] carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). E questo facciamo nella certezza di fede che dalla sofferenza e dalla stessa morte scaturirà una gioia purissima e imperitura, per noi e per tanti nostri fratelli.
Dal canto dell’Osanna al giubilo dell’Alleluia
La liturgia della Domenica delle Palme presenta aspetti sorprendenti. Infatti, Gesù, che si era messo decisamente in cammino con i suoi discepoli verso Gerusalemme (cf. Lc 9,51 ), giunge ora alla mèta ed entra nella Città Santa per esservi immolato quale Agnello innocente e per instaurare dalla Croce il suo regno universale. Quasi per divina ispirazione, la gente del popolo gli va incontro festante acclamando: «Osanna al Figlio di Davide. Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». Questa proclamazione risuona, convinta e festosa, nel rito di commemorazione dell’ingresso dì Gesù in Gerusalemme che precede la Santa Messa. Mentre nell’aria ancora risuona l’eco degli «Osanna», la Liturgia della Parola ci invita al raccoglimento per presentarci la vera realtà del Re acclamato con tanto fervore: Egli è il Servo sofferente, che si è fatto obbediente «fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 8): ecco il suo trono! La solenne proclamazione del Vangelo – il racconto della Passione – ci fa percorrere tutte le tappe della via dolorosa, dal Getsemani al Calvario. Custodendo nel cuore le ultime parole di Cristo – parole dette per noi – e immergendoci nei suoi silenzi di “agnello mansueto” – anch’essi vissuti per noi – possiamo inoltrarci nel mistero di questa Settimana: mistero che, celebrato nel tempo, lo trasforma da kronos in kairos, da tempo cronologico, che passa, in tempo che si dilata nell’eternità, proprio perché contiene Cristo che è lo stesso ieri, oggi e nei secoli.
La liturgia del Lunedì Santo ci fa uscire da Gerusalemme e ci conduce nella calma atmosfera di Betania, in casa degli amici Marta, Maria e Lazzaro, presso i quali Gesù, per l’ultima volta, va a cercare un po’ di ristoro fisico e morale. La squisita finezza di questi amici ha la sua espressione più alta e più pura nel gesto di Maria che, quasi presagendo la sorte cui il Maestro sta per andare incontro, versa una libbra di olio profumato di vero nardo sui piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli (cf. Gv 12,2-3). Essa viene biasimata, ma quello che a Giuda sembra uno “spreco” da condannare, per lei è ancora poco. Il profumo versato vuole significare, infatti, il dono di sé come risposta d’amore all’amore del suo Signore che va a morire per lei e per tutti. Anche oggi Gesù cerca un luogo dove riposare… Ognuno di noi può essere la sua accogliente Betania.
Con intensa drammaticità la liturgia del Martedì Santo ci fa presentire l’avvicinarsi dell’ora in cui, in assoluta solitudine, Gesù porterà a compimento il suo sacrificio redentore. In questo giorno, infatti, ci pone davanti allo sconcertante fatto che gli apostoli, e lo stesso Pietro, vengono meno nella fedeltà. Il brano del Vangelo si chiude con parole cariche di un inquietante presagio che Gesù rivolge al primo degli apostoli: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte» (Gv 13,38). Darai la tua vita per me? È una domanda che ci interpella personalmente e fa sgorgare anche dai nostri occhi le molte lacrime di pentimento che Pietro versò dopo il suo triplice rinnegamento.
Le tenebre si fanno ancora più oscure il Mercoledì Santo, giorno in cui, nella pagina evangelica, ascoltiamo l’annunzio del tradimento di Gesù. Il brano si apre mettendo in luce quanto Giuda va maturando in segreto: il suo non è un tradimento causato dalla paura – come il rinnegamento di Pietro – ma premeditato e tenuto nascosto fino “all’occasione propizia”. Gesù stesso, però, che conosce i cuori, svela la presenza di un traditore: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà» (Mt 26,21 ), uno dei “suoi”, con i quali ha condiviso e confidato tutto. Un dolore inesprimibile afferra tutti i commensali. Profondamente turbati, i discepoli ad uno ad uno incominciano a domandargli: Sono forse io, Signore? Chi di noi potrebbe evitare di porsi questa drammatica domanda?